Palazzo dell’Aeronautica Militare
Sede del Comando Aeronautico dal 1941 e rifugio per centinaia di militari tedeschi dopo il 25 aprile 1945.
Nel 1935 il Comune di Milano affidò all’ingegner Secchi, autore dell’edificio della piscina Cozzi, la progettazione del nuovo Comando Aeronautico, da erigersi in piazza Italo Balbo (oggi piazza Novelli). Iniziata nel 1938 la costruzione terminò in piena guerra mondiale, nel 1941, anche se le opere di finitura furono completate solo nel 1948. Secondo le disposizioni dell’autarchia l’edificio fu costruito interamente con materiali nazionali, in particolare marmi apuani. A forma di trapezio occupa gran parte dell’isolato ed è costituito da due palazzi e due caserme. Non manca la cappella della Madonna Lauretana, patrona degli aviatori.
È qui che si rifugiarono, dopo il 25 aprile 1945, centinaia di militari tedeschi, armati di tutto punto, per cercare di sfuggire alle forze partigiane e attendere l’arrivo degli alleati. Le scarse forze dei GAP e dei SAP non erano in grado di giungere a una manovra risolutiva, fino a quando il 27 aprile la situazione si sbloccò con l’arrivo a Milano delle colonne dell’Oltrepò, guidate dal comandante Luchino Dal Verme, che si sistemarono nelle vicine scuole di viale Romagna. All’alba del 28 aprile due distaccamenti dell’Oltrepò, accompagnati da alcune unità SAP, circondarono il palazzo e occuparono tutti i punti strategici. Secondo il racconto di Giovanni Pesce «un partigiano armato controlla ogni finestra del piano terreno, pronto ad intervenire. Altri partigiani tengono sotto tiro le finestre dei piani superiori. I tedeschi si rifugiano nei sotterranei e fanno sapere che si arrenderanno soltanto alle “forze regolari”». La risposta di Luchino Dal Verme, intervistato nel gennaio 2013, fu: «noi partigiani, soltanto noi partigiani, siamo in questo momento le forze regolari».
Seguirono diverse ore di tensione, nelle quali la richiesta tedesca di una ‘trattativa’ fu respinta da Dal Verme che volle la resa senza condizioni. Lo stesso comandante dice di aver temuto che qualche partigiano perdesse la calma e cominciasse a sparare, mentre il suo obiettivo era di evitare altri spargimenti di sangue. «Finché» – ricorda Dal Verme – «all’improvviso un capitano tedesco, “grande e grosso”, dice ai suoi: “È finita, arrendiamoci”». E infatti, continua Pesce, «i tedeschi, dopo essere corsi a prendere i propri effetti personali, escono a gruppi dagli scantinati, buttano le armi allineandosi in perfetto ordine». Resta ancora un momento rischioso quando, spiega ancora il comandante Dal Verme, egli scese nei sotterranei a controllare la situazione. Ma tutto era a posto.