Villa Fossati
Nota come Villa Triste, nell’estate del 1944 fu sede della “Banda Koch”, ovvero del reparto speciale della polizia repubblicana. Oggi ospita un istituto religioso.
Villa Fossati, ribattezzata «Villa Triste», stretta tra via Paolo Uccello e via Masaccio, tra l’estate e l’autunno del 1944 fu sede della «banda Koch», ovvero del Reparto speciale di polizia addetto alla repressione antifascista. L’ex granatiere Pietro Koch, classe 1918, nel novembre del 1943 si era iscritto al Partito fascista repubblicano e si era arruolato a Firenze nella «Banda Carità», formazione irregolare di polizia impegnata nella repressione antipartigiana agli ordini del maggiore Mario Carità. Nel dicembre del 1943 Koch si trasferì a Roma, dove diede vita a un nuovo Reparto autonomo di polizia sotto l’egida del tenente colonnello Kappler. Il Reparto si insediò provvisoriamente nella pensione Oltremare, per poi trasferirsi nell’aprile del ’44 alla pensione Jaccarino, dove lo scantinato e la soffitta furono adibiti a celle per i detenuti. Gli interrogatori avvenivano di notte ed erano accompagnati da percosse e sevizie: tra gli strumenti di tortura vi erano «tenaglie per estirpare i denti, pinze per cavare le unghie, daghe che arroventate venivano apposte sulle parti più delicate del corpo». Durante la sua attività il Reparto compì seicento trentatré arresti, di cui quattrocentotrentacinque a Roma, centonovantuno a Milano e sette in altre località. Dopo l’arrivo degli Alleati a Roma, il 4 giugno 1944, il Reparto si trasferì a Milano nella Villa Fossati di via Paolo Uccello 19, sequestrata all’anziana proprietaria Adele Mariani Fossati. La villa ospitava gli uffici del Reparto e, nei sotterranei, le camere di sicurezza. Al di sopra dei muri di cinta furono installati giri di filo spinato, e sulla facciata anteriore vennero collocati potenti riflettori. La banda aveva un suo specifico modus operandi: nella maggior parte dei casi gli arresti erano eseguiti di notte sulla base di una lista di nominativi e indirizzi. Giunti sul posto, gli agenti facevano irruzione nelle case delle vittime, armati e a volto scoperto, intimando agli arrestasti di seguirli e facendosi consegnare qualsiasi oggetto di valore.
Quanto al trattamento nei confronti dei prigionieri, oltre alle pratiche già sperimentate a Roma – le sevizie avevano addirittura una denominazione precisa, come lo «schiaffo scientifico» o la «capriola» – a Milano le vittime erano anche costrette «a fare di corsa il tratto che dal vano della doccia doveva riportarli in cella, passando tra due schiere di agenti pronti a colpirli al momento del passaggio». Nel pomeriggio del 25 settembre 1944 una sessantina di legionari della Muti e alcuni agenti di pubblica sicurezza irruppero a «Villa Triste» e arrestarono i componenti del Reparto, i quali furono poi tradotti a San Vittore. Koch, detenuto nel carcere, riuscì a fuggire con l’aiuto dei tedeschi nei giorni immediatamente precedenti la Liberazione, ma, raggiunta Firenze, fu riconosciuto e arrestato. Processato a Roma davanti all’Alta Corte di Giustizia il 4 giugno 1945, fu fucilato il giorno successivo presso il Poligono di tiro di Forte Bravetta.